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lunedì 6 gennaio 2014

L'epifania che tutte le feste (finalmente) si porta via


Ce l'abbiamo fatta, anche quest'anno siamo sopravvissuti al mese di delirio che comincia l'otto dicembre con la decorazione della casa e finisce il sei gennaio, con il ritrovamento fortuito della calza preparata dal befanesco consorte.

Che non sarebbe stato facile l'avevo capito fin dall'Immacolata, quando il consorte, con il fare vago che lo contraddistingue, mi ha chiesto che tipo di decorazione pensassi di mettere sulla porta.

- Ma nessuna, come al solito. - Ho risposto mentre continuavo ad appendere campanelle all'albero (nelle questioni natalizie ho subìto l'imprinting di La vita è meravigliosa).
- Però sarebbe carino metterci una ghirlanda. - Ha insistito lui.
- Senti, la ghirlanda non è prevista. Non ce l'ho la ghirlanda. Ma poi com'è che all'improvviso ti è venuta 'sta voglia di ghirlanda?
- No... è che prima sono uscito sul pianerottolo e ho visto che tutti i vicini ne hanno messa una sulla porta. Va be', ma non preoccuparti... domani ne compro una io dai cinesi.

Ecco, la pressione sociale da una parte, e il terrore dei possibili acquisti asiatici consortili dall'altra, hanno fatto sì che io trascorressi la notte fra l'otto e il nove dicembre in versione elfo di Babbo Natale ricombinato geneticamente con Grace Bonney, per produrre la ghirlanda che vedete ritratta in foto, realizzata con la forza della disperazione, una gruccia di ferro da lavanderia, un po' di feltro, qualche nastro conservato dai natali precedenti e le mie formidabili forbici con le lame a zigzag.

E questo è stato solo l'inizio. Anche se devo ammettere che tutto ciò che è accaduto dopo l'ho voluto io e soltanto io.

- Senti, ti ricordi che il mese scorso volevo fare la cena del Thanksgiving?
- Ma poi fortunatamente siamo andati a Roma. Sì, lo ricordo.
- Beh, stavo pensando di trasformarla in una festa pre-natalizia.
- Mmmm...
- Aspettiamo che gli amici che vivono fuori tornino a Napoli, e poi li convochiamo tutti. Il ventidue dicembre sarebbe l'ideale.
- E scommetto che hai già fatto una lista degli invitati...
- Siamo una trentina di adulti... e poi ci sono i bambini.
- I bambini!?
- Certo, non è Natale senza bambini.
- E quanti sarebbero questi bambini?
- Mah... credo una ventina...
- Una ventina!?
- ...
- Bene, ti ricordo che in casa nostra ci sono esattamente venti posti a sedere, e ho contato anche lo scaletto a due gradini che sta in cucina. Dove le facciamo sedere una cinquantina di persone?
- Beh, magari organizziamo una rotazione...

Così ho cucinato come se non ci fosse un domani tutto ciò che pensavo potesse piacere a dei bambini di età compresa fra i cinque e i quattordici anni, tutto ciò che pensavo potesse intrigare degli adulti per accompagnare un cocktail, e tutto ciò che potesse andare bene a entrambi per un pasto completo, perché l'invito era a partire dalle 18.30, per un aperitivo che poi sarebbe naturalmente evoluto in cena.

Ora, probabilmente il fatto che tutte le mie amiche al momento dell'invito rimanessero sconcertate nell'apprendere che fossero inclusi anche i bambini avrebbe dovuto insospettirmi, ma se fra di voi c'è qualcuno che, come me, ha molto desiderato dei figli senza però riuscire ad averne, potrà capire quanto mi entusiasmasse l'idea di avere per una volta la casa piena di bambini, perciò sono andata dritta per la mia strada... verso l'abisso!

Alle 18.30 del ventidue dicembre fremevo in attesa dell'arrivo degli ospiti. Alle 19.30 mi compiacevo di quanto fossero belli i figli dei miei amici, di come fossimo belli tutti, grandi e piccoli, ancora insieme, ancora con lo stesso piacere, dai tempi del liceo. Alle 20.00 dalla stanza di cui si erano impossessati i bambini proveniva un frastuono terribile che impediva agli adulti di chiacchierare a un volume accettabile. Alle 20.30 l'occhio sinistro del consorte cominciava a chiudersi e aprirsi ritmicamente come quello dell'ispettore Dreyfus, mentre, restando sulla soglia della stanza invasa dai bambini, mi indicava una frugoletta con un maglioncino a righe, delle adorabili treccine bionde e grandi occhi azzurri.

- Quella, quella lì! Come si chiama?
- Emma...
- È una caporione! Li sta scatenando tutti!
- Amore, non esagerare...
- La guerra con i gusci delle noccioline americane l'ha fatta scoppiare lei!
- Ma...
- E anche l'aranciata sul divano l'ha rovesciata lei!
- Non l'ha mica fatto volutamente...
- Sì invece! E lo vedi quel solco nel muro, quella specie di voragine?
- Sì...
- L'hanno fatta lei e quelle altre due pesti (due bambine belle da togliere il fiato, ndr) sbattendo le poltroncine del cinema contro la parete!
- Su, abbi un po' di pazienza...
- Ma che pazienza! Io voglio un Negroni e un tranquillante!

Così quando verso mezzanotte la casa si è svuotata e abbiamo cominciato a mettere in ordine, a raccogliere i cocci, a ripulire il sangue dei feriti (non è una metafora, i feriti ci sono stati davvero), a constatare che il piede del tavolino del soggiorno era irrimediabilmente rotto, che la copertura del divano andava mandata in lavanderia, la parete stuccata, il telecomando del televisore sostituito perché immerso in una caraffa di aranciata, ho ripensato a uno degli aneddoti cardine della mia infanzia che riguarda Di Grazia, un tappezziere molto celebre e bravo, i cui lavori, fra la fine degli anni '60 e la fine degli anni '70, sono stati collocati in quasi ogni casa della Napoli bene.

Era il dicembre del 1971 e finalmente ci eravamo trasferiti nella casa nuova, i cui lavori di ristrutturazione erano durati quasi due anni. La casa era ormai perfetta ed era perciò stato convocato Di Grazia per portare i mobili e montare tende e mantovane. Nella lunga giornata di lavoro, che il tappezziere, da uomo meticoloso qual era, trascorreva curando ogni minimo particolare fino a rendere tutto perfetto, ci furono una serie inenarrabile di incidenti di percorso, causati tutti da mio fratello, che all'epoca aveva sedici mesi ma si era già guadagnato il soprannome di Peste Bubbonica.

Prima s'incantò a guardare a bocca aperta il tappezziere all'opera, e sbavò sul bracciolo del divano rivestito di seta di San Leucio provocando al poveretto un attacco isterico e svariate ore di lavoro in più per rimediare al danno, poi lanciò giù dal balcone la radiolina a transistor che Di Grazia possedeva da più di vent'anni e teneva accesa per avere un po' di compagnia durante il lavoro, quindi si appese a corpo morto a una tenda appena montata strappandone la parte superiore, e infine lanciò attraverso la stanza una tavoletta di compensato che il pover'uomo usava come supporto al ferro da stiro, colpendo il tappezziere giusto in fronte con conseguente taglio e bitorzolo.

Quando a fine giornata mia madre, mortificata, si scusò ripetutamente per tutto ciò che aveva fatto mio fratello, Di Grazia le disse di non preoccuparsi e le confessò invece di esserle grato.

- Vedete signora, io e mia moglie siamo sposati da dieci anni ma non abbiamo avuto figli. Io tutte le sere torno a casa e prego il Padreterno di farcene avere uno, invece stasera torno a casa e ringrazio il Padreterno per averci risparmiati!


Polpette di friarielli
(per un aperitivo rigorosamente SENZA bambini)

Friarielli
Pane raffermo
Parmigiano
Uova
Aglio
Peperoncino
Pangrattato
Sale
Olio EVO
Olio di arachidi

Signori miei, mi dispiace ma qui di dosi non ce ne sono e bisogna necessariamente andare a occhio come fate, credo e spero, ogni volta che preparate qualsiasi tipo di polpetta. In questo caso si comincia pulendo per bene i friarielli di modo che non sopravviva nessun gambo (ma potete usare anche i broccoli, va bene lo stesso), lavandoli e quindi mettendoli a soffriggere, ancora ben umidi d'acqua, in un tegame con l'olio, l'aglio e il peperoncino. Salate, coprite con un coperchio in modo che i friarielli tirino fuori l'acqua di vegetazione e continuate così per una decina di minuti, quindi scoprite, alzate la fiamma e portate a cottura rosolando la verdura.

Una volta freddi, tritate finemente i friarielli e miscelateli con il pane precedentemente messo in ammollo nell'acqua fredda e strizzato.


 Aggiungete l'uovo (o le uova), il parmigiano grattugiato, e lavorate con le mani fino a ottenere un composto omogeneo. Formate quindi delle polpettine regolari - io per porzionarle uso un dosatore da gelato - e passatele nel pangrattato.


A questo punto potete friggere le polpette in olio d'arachidi fin quando non saranno ben dorate, oppure disporle su una teglia, irrorarle con un filo d'olio, e cuocerle al forno preriscaldato a 180° per una mezz'oretta.


NOTE A MARGINE

Un po' di tempo fa mi hanno chiesto di scrivere delle favole per un libro della collana Save The Parents, edita da Feltrinelli, che si chiama "100 storie per quando è veramente troppo tardi". Mi sono divertita molto a farlo, anche se continuavo a chiedermi che senso avessero quei libri. Ho sempre pensato che a dover essere salvati fossero i bambini, non certo i genitori. Beh, dopo la festa del 22 dicembre ho cambiato idea, perciò oggi che è la Befana e sicuramente avrete inondato i vostri pargoli di doni, andate in libreria e il regalo fatelo a voi stessi comprando tutti i libri della collana. Sono sicura che saranno un bel salvavita!

martedì 2 aprile 2013

Praticamente Emma


Conosco Emma La Pratica dalla notte dei tempi. Da molto prima che perdesse per strada il proprio nome e, in una serata di quelle che poi ci si ricorda per anni, venisse ribattezzata Emma La Pratica.

Emma incarna, contrariamente a quanto il suo finto cognome lascerebbe presumere, la quintessenza dell'essere svampiti. Con la sua parlantina venata da un accento che, nonostante viva a Napoli da più di trent'anni, conserva ancora una eco lontana dell'infanzia vissuta a Lecce, Emma - per affetto, disponibilità e altruismo - ha la straordinaria capacità di complicare ciò che è semplice, di rendere disorganizzato ciò che, senza il suo provvidenziale intervento, sarebbe scivolato via pigramente, seguendo il naturale corso delle cose.

Emma organizza picnic in giardino in cui, chissà come mai, ci si ritrova ad aver preparato quattro primi e tre dolci, ma mancano bevande, secondi o verdure; coordina andate al cinema mettendo a punto un sistema di passaggi in auto che prevedono - immancabilmente - che si facciano i giri più lunghi nelle zone più trafficate, perché le logiche con cui Emma stabilisce chi passerà a prendere chi, si basano sulle affinità elettive più che sulla contiguità geografica. O almeno questa è la spiegazione che noi amici ci siamo dati.

Il candore di Emma fa sì inoltre che solo con estrema cautela le si possano fare delle confidenze. Emma non sa cosa significhi serbare un segreto e ha il dono di svelare anche quelli più intimi nei momenti più inappropriati, alle persone meno indicate. Ma lo fa, bisogna ammetterlo, con una tale innocenza, una tale ironia innata e una tale leggerezza, che mai nessuno se n'è avuto a male e tutt'al più la cosa si è risolta con un avvampare improvviso delle gote, grandi risate e il constatare quanto già noto: se vuoi che una cosa non si sappia, non raccontarla a Emma. 

Ma il motivo principale per cui Emma gode di una fama che non ha eguali fra i miei amici, è la sua incredibile abitudine di ingarbugliarsi fra le parole, dando vita a svarioni che sono diventati le pietre miliari della nostra lunga amicizia.

Conversando con Emma, non è raro sentirle fare affermazioni come: "Quel film lì... quello con Robert De Niro... quello in cui giocavano alla roulotte russa". Oppure: "No, lì non ci si può andare in bicicletta... la strada è tutta disossata." C'era poi un suo amico che aveva una meravigliosa collezione di gulash napoletane del '700, o ancora un altro con cui aveva appuntamento a Piazza San Gesù, anzi veramente lì vicino, al Chioschetto di Santa Chiara. Ricordo ancora la sera che, al telefono, mi leggeva i titoli dei film in programmazione al cinema, per poi concludere che secondo lei il migliore era un thriller appena uscito: Il profumo del mostro selvatico.

Se la pressione dell'acqua è poca, Emma accende l'autoclava; se deve servire delle melanzane, ti chiede una spelonca in cui metterle (si riferisce, per chi non è napoletano, alla sperlunga, ovvero un piatto da portata di forma ovale e leggermente concavo). Del suo viaggio a Dominica, le è rimasta impressa Fatima Churchill che, ben lungi dall'essere una discendente di Winston, è semplicemente una chiesa dedicata alla madonna di Fatima e, da sempre, ha un debole per Yves Saint Montand - nome con cui presumo si riferisca all'attore piuttosto che allo stilista, perché in fatto di moda Emma non è mai andata molto oltre i jeans e le camper ultra flat.

Bisogna dire comunque che c'è chi fa di peggio: in una memorabile conversazione, mio fratello mi disse che per ottenere i biglietti per il concerto che avremmo ascoltato quella sera, aveva dovuto combattere a sparatrappo, dopodiché mi diede appuntamento a più tardi.
Mi avrebbe aspettato nel foie gras del teatro.
Ma di questo, magari, vi racconterò un'altra volta.


RAVIOLI AI FRIARIELLI, PATATE E FIORDILATTE IN GUAZZETTO DI VONGOLE

Per 4 persone

Per la sfoglia
300 g di farina 0
2 uova codice 0
40 g di friarielli lessati
sale

Per il ripieno
250 g di patate
100 g di fiordilatte
un cucchiaio di olio EVO
sale e pepe

Per il guazzetto
500 g di vongole
4 pomodorini
200 g di friarielli
2 spicchi d'aglio
mezzo bicchiere di vino bianco
olio EVO
sale e pepe

Ora, credo conveniate con me che a un post dedicato a Emma La Pratica fosse impensabile non abbinare una ricetta con le vongole visto che, come scherzosamente le ripeto spesso, ogni volta che apre bocca ne viene fuori un sauté. Impensabile anche abbinarvi una ricetta di quelle facili e veloci, da neofita dei fornelli, vista la sua propensione a complicare il complicabile. La scelta è caduta allora su questi ravioli di innegabile matrice partenopea, che sono elaborati quanto basta da dedicarvi una mattinata, ma ripagano ampiamente tempo e fatica, tanto sono buoni, sorprendenti e insoliti, proprio come la mia Emma.


Lavate per bene le patate, asciugatele, avvolgetele nella carta argentata e cuocetele in forno a 160° fin quando non saranno ben morbide. Intanto lessate i friarielli - sia quelli per la sfoglia che quelli per il guazzetto - in acqua bollente salata, quindi scolateli, prendetene 40 gr e frullateli con le uova. Disponete poi la farina a fontana, incorporatevi la miscela di uova e friarielli, e un pizzico di sale. Impastate a lungo, e quando la massa sarà diventata liscia e omogenea continuate a lavorarla per altri 5 minuti, quindi avvolgetela nella pellicola e lasciatela riposare una mezz'oretta.

Sbucciate le patate e lavoratele in una ciotola con la frusta elettrica, aggiungendo sale, pepe e il cucchiaio d'olio fino a ottenere una sorta di crema ben soda, che si stacchi dalle pareti della ciotola. Unitevi il fiordilatte tritato nel mixer - molto meglio se comprato il giorno prima e tenuto in frigo - e mescolate bene.

Stendete la sfoglia con l'apposita macchinetta, diminuendo progressivamente lo spessore fino a farla diventare quasi trasparente, quindi formate i ravioli mettendo al centro di ognuno una pallina di composto di patate.



In un largo tegame, fate soffriggere l'aglio con l'olio e i pomodorini, quindi aggiungete i friarielli lessati e fateli insaporire per qualche secondo, unite al tutto le vongole, coprite con un coperchio e scuotete con forza e ripetutamente il tegame. Quando le vongole si saranno aperte, sfumatele con del vino bianco.

Lessate i ravioli in acqua bollente salata, e scolateli con un ragno man mano che vengono a galla. Conditeli ripassandoli un attimo nel tegame delle vongole, in modo che prendano sapore e serviteli disponendo sul fondo del piatto un ciuffetto di friarielli, irrorandoli con il guazzetto e le vongole sgusciate, e infine decorandoli con qualche vongola ancora nel guscio disposta ad arte sul piatto.

Come sempre, fatemi sapere.