Quando i genitori della Signorina Bobobò chiamano, io e il consorte accorriamo.
È una regola che non conosce eccezioni.
I motivi sono vari.
Primo, perché i genitori della Signorina Bobobò sono i genitori della Signorina Bobobò.
Secondo, perché i genitori della Signorina Bobobò fanno parte della mia vita da quasi trent'anni (io e il suo papà frequentavamo lo stesso liceo e io e la sua mamma eravamo compagne di studio all'università).
Terzo, perché il papà della Signorina Bobobò è l'altra metà del binomio fatale ipocondriaca-medico e lo è, poveretto, dal giorno stesso in cui si iscrisse alla facoltà di medicina.
Benché sia nefrologo - e i reni, guarda caso, sono l'unico organo che non mi abbia mai dato problemi - è stato da me consultato per attacchi di panico, insonnia, infarti ripetuti e persistenti (uno terribilissimo mi venne a Stromboli e durò due giorni), sfoghi cutanei con morfologie varie ma sicura appartenenza al ceppo dei melanomi maligni, aneurismi, sospetto alzheimer, sospetti esantemi infantili e unghie incarnite che certamente sarebbero evolute in una cancrena talmente devastante da richiedere l'amputazione dell'arto.
E non ha mai perso la pazienza.
Va da sé che quando un uomo così ti dice che ha bisogno del tuo aiuto, la possibilità di tirarsi indietro non viene minimamente contemplata. Neanche quando l'aiuto consiste nel montare tutti i mobili della cabina armadio della casa nuova.
I suddetti mobili erano stati acquistati dai coniugi Bobobò all'Ikea, in una simpatica spedizione del sabato pomeriggio che nelle loro intenzioni doveva essere una rapida incursione, ma che io e il consorte - grandi esperti di questo tipo di imprese - sapevamo si sarebbe trasformata in una maratona sfibrante.
Riemersi a fatica da quel gorgo fagocitante verso le otto di sera - giusto in tempo per raggiungerci in un bar del centro e tracannare un negroni con cui dimenticare il pomeriggio appena trascorso - i due ci avevano avvisato che tutti i colli sarebbero stati loro consegnati il giorno dopo intorno alle 14, quindi confidavano che, convocandoci per le 15, in serata avrebbero potuto considerare chiusa la faccenda. Poveri illusi!
Il consorte aveva provato a dir loro che noi per montare il nostro armadio eravamo stati all'opera dalle otto del mattino alle otto di sera di un dieci agosto che rimarrà indelebilmente tatuato nei nostri ricordi come uno dei più caldi di sempre, ma non c'era stato niente da fare. Il signor Bobobò, con lo stesso occhio spiritato di Gene Wilder, continuava a sostenere che l'impresa poteva essere portata a termine entro i tempi da lui prefissati.
Così, armati di buone intenzioni e santa pazienza, la domenica all'ora concordata ci siamo presentati a casa Bobobò per trovarci di colpo catapultati in una succursale degli scavi di Pompei. Nonostante avessero ufficiosamente traslocato da qualche giorno, ufficialmente i poveri coniugi si erano ritrovati sommersi di scatoloni in una casa palesemente non finita in cui ogni singolo centimetro quadrato era ricoperto da una tale coltre di polvere, che per capire di che materiale fossero i pavimenti bisognava ricorrere all'intervento di un archeologo.
I poveretti erano talmente avviliti che né io né il consorte ce la siamo sentita di demoralizzarli ulteriormente con le nostre previsioni, ma sottovoce, quando eravamo certi che non ci sentissero, continuavamo a ripeterci che non ce l'avremmo mai fatta.
Innanzitutto il vano della cabina armadio era palesemente piccolo mentre i mobili che dovevano entrarci erano palesemente troppi, se a questo si aggiunge che io ho di mio un ingombro non trascurabile e che il signor Bobobò non ha notizie del suo punto vita da almeno vent'anni, ci si renderà conto di quanto fosse ardita l'impresa che eravamo in procinto di intraprendere.
Stipati nel piccolo locale deputato a contenere gli armadi, stavamo più stretti che in un autobus nell'ora di punta ed era tutto un urtarsi, pestarsi i piedi, far strusciare le varie parti dei mobili contro i muri appena imbiancati, e a me venivano in mente l'immancabile Corie e la sua ostinazione nel cercare di spacciare al povero Paul uno sgabuzzino per una camera da letto matrimoniale.
Ciliegina sulla torta, la signora Bobobò che, legittimamente esasperata dalla situazione generale, palesemente negata per il bricolage, estranea al mondo Ikea come io lo sono a quello delle top model, continuava a strepitare ordini su cosa fare (secondo la regola d'oro che chi non sa fare insegna) e a lamentarsi del fatto che non trovava più quell'aggeggino per avvitare... com'è che si chiamava? La RUCOLA!
Inutile dire che alle dieci di sera non eravamo neanche a metà dell'opera, ma in compenso a me e alla signora Bobobò era venuto il mal di schiena, il consorte si era martellato su tutte le dita della mano sinistra mentre inchiodava i fondi degli armadi, e il signor Bobobò si era incastrato un paio di volte fra l'armadio appena montato e la parete, rischiando di rimanere intrappolato nella fantomatica cabina vita natural durante.
Il giorno seguente grande happening a casa Bobobò subito dopo l'orario di lavoro dove, sebbene sfiniti, con l'ausilio di un paio di birrette siamo riusciti a ultimare il montaggio fingendo di non accorgerci che le ante erano sbilenche, i battiscopa un po' rientranti e le mensole decisamente troppo ravvicinate. Dopotutto il bello delle cabine armadio è che si può chiudere la porta e lasciarsi alle spalle tutto il casino che contengono.
Peccato che in quel caso la porta non fosse prevista.
Non credo che i signori Bobobò siano rimasti molto soddisfatti.
TARTE SAUMON ÉPINARD
per una teglia da crostata di 23 cm di diametro
Per la pasta brisée:
250 g di farina
150 g di burro
1 uovo
1 cucchiaio di latte freddo
1 pizzico di sale
Per il ripieno:
250 g di spinaci (pesati già lessati e strizzati)
200 g di filetto di salmone
100 g di salmone affumicato
2 scalogni
1 noce di burro
1 uovo intero e 2 tuorli
200 ml di panna fresca
sale e pepe bianco
In una casa dove non si sa che fine abbia fatto il fornello, figuriamoci pentole e piatti, l'unico modo di sopravvivere è trasformare ogni pasto in un picnic, con pietanze che possano essere preparate altrove, e consumate poi anche fredde con l'unico ausilio delle mani. Questa tarte, di cui io e il consorte ci siamo innamorati dopo averne comprate due fette da un panettiere dell'Île Saint Louis, è poi talmente buona e raffinata, che ne basta un morso per dimenticare il luogo in cui ci si trova e sentirsi come d'incanto protagonisti del più sensuale dei dejeuner sur l'herbe.
Riemersi a fatica da quel gorgo fagocitante verso le otto di sera - giusto in tempo per raggiungerci in un bar del centro e tracannare un negroni con cui dimenticare il pomeriggio appena trascorso - i due ci avevano avvisato che tutti i colli sarebbero stati loro consegnati il giorno dopo intorno alle 14, quindi confidavano che, convocandoci per le 15, in serata avrebbero potuto considerare chiusa la faccenda. Poveri illusi!
Il consorte aveva provato a dir loro che noi per montare il nostro armadio eravamo stati all'opera dalle otto del mattino alle otto di sera di un dieci agosto che rimarrà indelebilmente tatuato nei nostri ricordi come uno dei più caldi di sempre, ma non c'era stato niente da fare. Il signor Bobobò, con lo stesso occhio spiritato di Gene Wilder, continuava a sostenere che l'impresa poteva essere portata a termine entro i tempi da lui prefissati.
Così, armati di buone intenzioni e santa pazienza, la domenica all'ora concordata ci siamo presentati a casa Bobobò per trovarci di colpo catapultati in una succursale degli scavi di Pompei. Nonostante avessero ufficiosamente traslocato da qualche giorno, ufficialmente i poveri coniugi si erano ritrovati sommersi di scatoloni in una casa palesemente non finita in cui ogni singolo centimetro quadrato era ricoperto da una tale coltre di polvere, che per capire di che materiale fossero i pavimenti bisognava ricorrere all'intervento di un archeologo.
I poveretti erano talmente avviliti che né io né il consorte ce la siamo sentita di demoralizzarli ulteriormente con le nostre previsioni, ma sottovoce, quando eravamo certi che non ci sentissero, continuavamo a ripeterci che non ce l'avremmo mai fatta.
Innanzitutto il vano della cabina armadio era palesemente piccolo mentre i mobili che dovevano entrarci erano palesemente troppi, se a questo si aggiunge che io ho di mio un ingombro non trascurabile e che il signor Bobobò non ha notizie del suo punto vita da almeno vent'anni, ci si renderà conto di quanto fosse ardita l'impresa che eravamo in procinto di intraprendere.
Stipati nel piccolo locale deputato a contenere gli armadi, stavamo più stretti che in un autobus nell'ora di punta ed era tutto un urtarsi, pestarsi i piedi, far strusciare le varie parti dei mobili contro i muri appena imbiancati, e a me venivano in mente l'immancabile Corie e la sua ostinazione nel cercare di spacciare al povero Paul uno sgabuzzino per una camera da letto matrimoniale.
Ciliegina sulla torta, la signora Bobobò che, legittimamente esasperata dalla situazione generale, palesemente negata per il bricolage, estranea al mondo Ikea come io lo sono a quello delle top model, continuava a strepitare ordini su cosa fare (secondo la regola d'oro che chi non sa fare insegna) e a lamentarsi del fatto che non trovava più quell'aggeggino per avvitare... com'è che si chiamava? La RUCOLA!
Inutile dire che alle dieci di sera non eravamo neanche a metà dell'opera, ma in compenso a me e alla signora Bobobò era venuto il mal di schiena, il consorte si era martellato su tutte le dita della mano sinistra mentre inchiodava i fondi degli armadi, e il signor Bobobò si era incastrato un paio di volte fra l'armadio appena montato e la parete, rischiando di rimanere intrappolato nella fantomatica cabina vita natural durante.
Il giorno seguente grande happening a casa Bobobò subito dopo l'orario di lavoro dove, sebbene sfiniti, con l'ausilio di un paio di birrette siamo riusciti a ultimare il montaggio fingendo di non accorgerci che le ante erano sbilenche, i battiscopa un po' rientranti e le mensole decisamente troppo ravvicinate. Dopotutto il bello delle cabine armadio è che si può chiudere la porta e lasciarsi alle spalle tutto il casino che contengono.
Peccato che in quel caso la porta non fosse prevista.
Non credo che i signori Bobobò siano rimasti molto soddisfatti.
TARTE SAUMON ÉPINARD
per una teglia da crostata di 23 cm di diametro
Per la pasta brisée:
250 g di farina
150 g di burro
1 uovo
1 cucchiaio di latte freddo
1 pizzico di sale
Per il ripieno:
250 g di spinaci (pesati già lessati e strizzati)
200 g di filetto di salmone
100 g di salmone affumicato
2 scalogni
1 noce di burro
1 uovo intero e 2 tuorli
200 ml di panna fresca
sale e pepe bianco
In una casa dove non si sa che fine abbia fatto il fornello, figuriamoci pentole e piatti, l'unico modo di sopravvivere è trasformare ogni pasto in un picnic, con pietanze che possano essere preparate altrove, e consumate poi anche fredde con l'unico ausilio delle mani. Questa tarte, di cui io e il consorte ci siamo innamorati dopo averne comprate due fette da un panettiere dell'Île Saint Louis, è poi talmente buona e raffinata, che ne basta un morso per dimenticare il luogo in cui ci si trova e sentirsi come d'incanto protagonisti del più sensuale dei dejeuner sur l'herbe.
Come sempre io sono dell'idea che quanto più ci si può agevolare il lavoro meglio è, perciò bando ai sensi di colpa e preparate la brisée schiaffando bellamente tutti gli ingredienti nel mixer che farete poi andare a intermittenza fino a quando non si sarà formata una massa compatta. Lavorate quindi l'impasto a mano per una trentina di secondi, avvolgetelo in un pezzo di cellophane e mettetelo a riposare in frigo per mezz'ora.
Nel frattempo preparate il ripieno tritando finemente gli scalogni e facendoli rosolare in una padella con la noce di burro. Aggiungete gli spinaci tritati al coltello, fateli saltare per un paio di minuti, aggiustateli di sale e pepe e teneteli da parte. Tagliate il filetto di salmone a cubetti di un paio di centimetri di lato e il salmone affumicato a striscioline, e in ultimo sbattete l'uovo e i tuorli con la panna e un bel pizzico di sale.
Recuperate la pasta brisée dal frigo, tagliatene i due terzi, stendeteli e rivestite lo stampo da crostata lasciando che la pasta fuoriesca dai bordi di un paio di centimetri. Disponete sul fondo della teglia i cubetti di salmone e le striscioline di salmone affumicato, ricopriteli con gli spinaci e versateci sopra le uova e la panna. Stendete la brisée rimanente in un disco di 25 centimetri di diametro con cui ricoprirete il ripieno. Sigillate infine i bordi pizzicandoli l'uno con l'altro e arrotolandoli appena su sé stessi. Cuocete in forno preriscaldato a 180° per 35/40 minuti.
Se siete a casa, mangiate la tarte quando è ancora tiepida altrimenti... godetevi il picnic!