mercoledì 14 novembre 2012

C'è tutto un mondo intorno


A ben pensarci io e il consorte non avremmo potuto abitare da nessun'altra parte, una famiglia ridicola come la nostra non poteva prendere casa che qui, nell'angolo di Napoli meno classificabile che io conosca.

Abitiamo a via Tasso, una strada che s'inerpica verso la collina del Vomero, nella casa dove visse per vent'anni Vincenzo Gemito nell'esilio della propria follia ("E tu farai la stessa fine, Bene" - profetizza il consorte).

Si tratta di un palazzetto a due piani, costruito alla fine dell'800 e appartenente da sempre alla stessa famiglia, incuneato fra Salita Tasso - una delle tante scalinate di Napoli che collega la strada in cui abitiamo al Corso Vittorio Emanuele - e un vallone verde che quando ero piccola veniva amorevolmente coltivato da Ciauriello, il contadino che forniva verdure fresche a molte famiglie di via Tasso e del Corso.

Il nostro è un palazzo a spuntatora, cioè ha un doppio ingresso: uno nobile con tanto di stemma alla sommità del portone su via Tasso, e uno secondario, di servizio, che dà su un cortile - che poi affaccia su salita Tasso - che condividiamo con un altro palazzo, d'impianto popolare.

La rivalità fra i signorotti proprietari del mio palazzo e gli abitanti del palazzo accanto dura da più di cento anni, esasperata dalla forzata promiscuità, e nulla è cambiato neanche adesso che il proprietario ha venduto e solo alcuni dei vecchi inquilini hanno comprato mentre le altre case sono state acquistate da giovani professionisti.

Nel palazzo accanto si continua a fare molta vita di cortile, come usava quando ero piccola io. Le donne che abitano al pianterreno sostano a chiacchierare quando stendono il bucato, si salutano rispettivamente dagli usci aperti quando tornano dalla spesa e d'estate, quando il caldo diventa davvero soffocante, trasferiscono tavoli e sedie all'aperto per cenare al fresco.

A partire da fine maggio per noi è impossibile tenere le finestre aperte dal lato del cortile tanto è il frastuono che arriva da lì e dalle finestre delle altre case. Ed è allora che gli abitanti del palazzo, che per certi versi sembrano usciti dalle le pagine di La vita istruzioni per l'uso, danno il meglio di sé.

C'è il cantante lirico - che non ho ancora capito in quale appartamento abiti e in sei anni non ho mai incontrato di persona - che gorgheggia con voluttà romanze pucciniane, il che sarebbe godibilissimo se la sua voce non fosse sovrastata dall'abbaiare del cane dei giovani virgulti della Napoli bene - due ragazzetti talmente insopportabili che i genitori hanno preferito affittar loro un appartamento pur di levarseli dai piedi - che, povera bestiola, immagino vorrebbe tanto liberarsi a propria volta dei suddetti ragazzetti e tornare invece dai loro genitori.

A fare da contrappunto al simpatico duetto tenore/cane, c'è la figlia duenne della mia dirimpettaia che piange, anzi urla, ininterrottamente da quando è venuta al mondo. Io e il consorte all'inizio ci siamo inteneriti, poi preoccupati e infine esasperati al punto da aver ribattezzato la creatura Damien, perché c'è sicuramente qualcosa di diabolico in lei. Mentre provo per la sua mamma un'ammirazione sconfinata perché mai, neanche una volta, le ho sentito perdere la pazienza, non riesco più ad avere in simpatia la pargola, che al momento ha l'unico merito di aver addolcito il mio rimpianto di non avere avuto bambini.

Dato che non ci facciamo mancare nulla, ogni settimana veniamo poi allietati dalla nipote della signora Antonietta, una delle maggiori animatrici del cortile, che non rinuncia al sogno di partecipare ad Amici o X Factor e sceglie - chi sa mai per quale motivo - proprio il momento della visita settimanale alla nonna per esercitarsi a cantare a squarciagola, e stonando moltissimo, tutto il repertorio di Alicia Keys.

Domina su tutti la vedova ottuagenaria di uno dei due fratelli proprietari del mio palazzetto. Armata di una campanella che scuote in media ogni sette minuti, richiama all'ordine la mansueta domestica cingalese terrorizzandola al punto che la poverina è ormai un giunco tremante.

La signora, che sfoggia un'acconciatura degna di Madame Tremend, fuma affacciata al balcone con l'aria arcigna e l'accanimento di chi sa che ormai non ha più nulla da perdere, ma quando per strada scorge il mio consorte che si dirige verso casa, si rianima di colpo. Si aggiusta i capelli con movenze da giovane donna degli anni '50, e lo prega di fare per lei qualche piccola commissione - in genere comprarle le sigarette - solo per avere poi il piacere di ricambiare la cortesia invitandolo a casa propria a bere un Rosso Antico, compiacendosi che esistano ancora gentiluomini come lui.

Ma il nostro palazzo ospita solo una piccola parte degli strani personaggi che popolano via Tasso, e di questi ce ne sono quattro che meritano almeno una menzione.

C'è il professore - di cosa non so - di chiare origini calabre che ce l'ha con me perché scrivo per una soap opera che, e qui cito, dà un'immagine ripugnante del sesso e della donna.

Il professore, che ho il piacere di incontrare spesso dal fruttivendolo finendo col trasformare il suo negozio nel set di un talk show, dichiara che la soap opera in questione dovrebbe essere cancellata dalla RAI, quindi allude a conoscenze nelle alte sfere sulle quali esercitare pressioni a riguardo.

S'innervosisce quando io mi lascio sfuggire un sorriso e mi consiglia di cominciare fin da subito a cercare un altro lavoro, perché gli è chiaro che io il mio non sappia farlo. Se poi mi azzardo a fargli notare che se la già citata soap opera gli ripugna tanto la cosa migliore da fare è evitare di guardarla, diventa paonazzo dalla rabbia e rivendica il suo diritto di libero cittadino di guardare ciò che gli pare e piace.

Insomma, nulla serve a smussare il suo astio e se ci incrociamo per strada, magari anche su marciapiedi opposti, non perde mai l'occasione di redarguirmi con un severo: "Pervertita, si vergogni!".

Lungo la strada, un po' più giù di casa mia, c'è il negozio di Carmine, il barbiere. Evidentemente il poveretto avrebbe voluto vivere in Tirolo perché il suo negozio è il trionfo del perlinato in legno d'abete, o in una giungla, visto che per raggiungere le poltrone bisogna farsi largo a colpi di machete fra i rigogliosissimi pothos che coltiva con amore.

Cosa abbia spinto Carmine ad aprire una bottega di barbiere ancora non l'ho capito dato che la maggior parte delle sue entrate proviene invece dal lavoro di sarto, che svolge rannicchiato sulla poltrona da barbiere quando c'è da imbastire, o seduto a una macchina per cucire incastrata fra i lavatesta quando c'è da ultimare l'opera.

L'unico che si ostina a considerare Carmine un barbiere - "Bene, ma sull'insegna c'è o non c'è scritto così?" - è il consorte che, distogliendolo dal suo certosino lavoro di ago e filo, va di tanto in tanto a farsi rimodellare la barba, immagino solo per il gusto di riportare le cose al loro ordine naturale.

In un basso situato più o meno a metà delle scale della salita Tasso, abita poi il musicista che - sprezzante del pleonasmo - suona appunto il basso.

Mi duole ammetterlo, ma di tutto il vicinato il musicista è l'uomo che il consorte ammira di più. Questo trentenne un po' maledetto, di una bellezza appena sciupata da una vita di eccessi, si sveglia all'alba delle due del pomeriggio quando la madre va a portargli il pranzo, prosegue la giornata esercitandosi un po' a ripetere la stessa esasperante, alienante, angosciante linea di basso per un paio d'ore, quindi verso le dieci di sera, custodia del Fender a tracolla, monta su una magnifica Vespa d'epoca e va a esibirsi con il suo gruppo.

Il musicista non si ritira mai prima delle tre del mattino e non lo fa mai da solo. Tutte le sere, inevitabilmente, una fanciulla un po' alticcia lo segue barcollando lungo le scale e sostando - ma guarda caso! - sotto la finestra della camera da letto mia e del consorte, in preda a un subitaneo ripensamento. Comincia quindi un serrato tira e molla che può essere romantico, sanguigno, rabbioso o svogliato, a seconda di quanto avvenente sia la fanciulla o di quanto abbia bevuto il musicista.

D'estate tutto questo teatrino finisce sempre con lo svegliarmi. Apro un occhio per controllare l'ora e biascico insulti contro l'importuno riproponendomi di alzarmi, aprire le persiane e fargli una bella imparata di creanza, ma a questo punto interviene il consorte, che mi invita all'indulgenza:  "Bene, e fallo campa'... beato a lui!".

Ma di tutti il mio preferito è Maurizio.

Reuccio incontrastato del tratto di via Tasso che va da parco Ameno a parco Elena, Maurizio passa le sue giornate e gran parte delle sue notti in strada. È di età indefinibile, ha la pancia tonda, la testa tonda, le labbra carnose sempre un po' aperte come se fosse in preda a un perenne stupore, e un'andatura indolente, un po' da papera, che mi fa pensare a Ignatius Jacques Reilly, il protagonista di Una banda di idioti.

Ha la pelle scura - non so se a causa del sole di tante estati o del fatto che non sembra essere molto amico dell'acqua - e due sole tipologie di vestiario: maglietta, bermuda e infradito quando è estate oppure maglione, jeans e infradito quando è inverno.

Maurizio comunica in una lingua incomprensibile che del napoletano ha solo la cadenza. Emette suoni gutturali con un tono brusco che induce inevitabilmente a pensare che ce l'abbia con te, e credo che il consorte sia l'unico a non esserne intimorito e a riuscire a intrattenere con lui una conversazione di qualche minuto.

Ha un amore sconsiderato per oggetti di uso comune che rubacchia in giro o recupera nella spazzatura: dalla cinta pendono più chiavi di quante ne potrebbe avere San Pietro, dalle tasche spuntano appena buste, giraviti, una paletta per raccogliere gli escrementi del cane che non ha e forse vorrebbe avere.

Ultimamente ha reperito due nuovi gadget: un gilet catarifrangente di quelli che bisogna tenere per legge in auto, e una torcia da testa che però non funziona. Orgoglioso come se il solo possederli gli conferisse nuova autorità, se ne va in giro mettendosi carponi ogni venti metri per scrutare, nell'oscurità prodotta dalla torcia fulminata, sotto le auto parcheggiate e scoprire cosa vi si nasconda.

Maurizio è l'unico a inoltrarsi in quella selva oscura che è diventata ormai la terra di Ciauriello. C'è chi pensa che vada a espletare lì le proprie funzioni corporali, chi pensa che vada a farsi la pennica sotto gli alberi quando fa caldo, e chi pensa che vada a tirare sassi ai gatti.

Ma io invece so, perché l'ho visto, che Maurizio va a coltivare la terra, così come faceva Ciauriello. Lo fa in modo improbabile e saltuario, ma qualcosa riesce a produrre. Una volta che, venendo fuori dalla lamiera contorta che fungeva da recinzione, mi si trovò davanti, fu preso talmente alla sprovvista che si sentì in dovere di dare una spiegazione e, aprendo appena la busta di plastica che aveva con sé, mi mostrò il frutto del suo lavoro, pronunciando l'unica frase di senso compiuto che io gli abbia sentito dire fino a oggi.

UANEMA I CHE PATANE!


VELLUTATA DI BROCCOLO BARESE, PATATE E GORGONZOLA
Per 4 persone

500 g di broccoli baresi
4 patate di medie dimensioni
1 cipolla grande
2 cucchiai di olio EVO
sale e pepe
200 g di gorgonzola piccante

Come direbbe mia nonna: "E questa è la zuppa!" nel senso che, mi piaccia o meno, il vicinato questo è e certo non lo posso cambiare, perciò tanto vale che me lo faccia piacere. Perfetto corollario a questo post è quindi questa vellutata che mentre cuoce fa tanto odore di casa del custode, oppure di casa di Giuseppe Lo Turco - che a broccoletti e patate era suo malgrado avvezzo -, ma che una volta pronta è uno di quei piatti che hanno il meraviglioso potere di farmi riconciliare con il mondo.

Procedete così: affettate la cipolla e fatela appassire nell'olio, aggiungete quindi i broccoli e fateli insaporire leggermente, unite poi le patate a tocchetti, salate, pepate e coprite a filo con dell'acqua fredda. Lasciate cuocere fin quando le verdure non saranno ben morbide quindi frullate tutto con il minipimer. Fate sciogliere nella crema calda la metà del gorgonzola e usate invece il restante tagliato a tocchetti per guarnire i piatti.


29 commenti:

  1. Lo speleologo si è fregato una busta di lettiera per gatti da 5 kg destinata alla buonanima di Arancino (che Iddio lo abbia in gloria). La posai davanti all'ascensore, mi allontanai e dopo 3 minuti la lettiera era sparita. Ovviamente grugnì di non saperne nulla, mi chiedo che cosa ne abbia mai fatto.
    Magari è ancora nel suo playground, nella terra di Ciauriello.

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    1. Maurizio - altresì detto lo speleologo - afferra qualsiasi cosa gli sembri priva di proprietario, seppur momentaneamente. Credo che l'unico periodo in cui sia riuscito suo malgrado a non sgraffignare niente fu quando si ruppe entrambe le braccia. Camminava su e giù per via Tazzo con le braccia appena un po' ruotate verso l'esterno ma dritte davanti a sé, e da lontano sembrava un sonnambulo. Il consorte si è sempre chiesto come facesse in quel periodo a fare la pipì.

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  2. UANEMA I CHE PATANE!
    Dopo diversi tentativi di assonanze e tirate a indovinare mi sto un po' perdendo... Ma che vuol dire?
    Broccoli sì (baresi non proprio sottomano)
    Patate medie sì
    Cipolla grande sì
    Olio EVO sì
    Gorgonzola piccante sì (Roquefort va ugualmente bene, vero?)
    Questa fantastica vellutata la posso fare anche a Istanbul!

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    1. Più o meno lo tradurrei con: "Accipicchia, hai visto che belle patate?"
      Il roquefort va benissimo lo stesso, e ti assicuro che la vellutata è davvero fantastica. Ma lo sai che ti pensavo proprio stamattina? Vorrei tanto venire a Istambul...

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  3. Meraviglioso, ho rubato un pó di tempo al lavoro, gustando questa lettura, grazie!

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  4. si chiede il mio consorte: ma a istanbul si trovano poi i broccoli baresi?
    che nostalgia, anche nel palazzo di mia nonna a via crispi, dove ho vissuto durante il periodo dell'univerita' c'era la convivenza con il palazzo di sotto di via martucci, con simili caratteristiche e avevamo il cantante di lirica che pero' era chiamato 'o pazzo, di cui eravamo terrorizzati perche' lanciava secchiate d'acqua dalla finestra quando veniva disturbato nel canto!
    bellissima la ricetta e chiaramente il racconto ha rubato anche a me un po' di tempo al lavoro, molto piacevole!

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    1. Per il tuo consorte: ad Istanbul non si trovano i broccoli baresi. Un solo ed unico tipo, ahimè: il Brassica Oleracea var. italica.

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    2. Chi l'avrebbe mai detto che a Napoli ci fossero tanti cantanti lirici? Be', anche quello fra via Crispi e via Martucci è un mondo davvero particolare. Se poi non ricordo male (e se ho capito chi sei), nei due palazzi a cui ti riferisci tu c'erano anche due cinema, e perfino loro erano acerrimi rivali!

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  5. Ti leggo sempre tutto d'un fiato sperando di non arrivare mai al termine del racconto.
    Hai il dono di saper dipingere le situazioni e di ritrarre i personaggi rendendoli vivi anche nella scrittura.
    Miki

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    1. E io che temo sempre di scrivere cose troppo lunghe! Grazie Miki, sono commossa.

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  6. Mi ero persa questo racconto, che bello!

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  7. Ciao, piacere di conoscerti, per caso sono capitata qui e ti ho letto molto volentieri..ritornerò presto..:-)

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  8. Veni, vidi, dici (licenza…)…
    Ogni mondo è paese. Lo sappiamo tutti, lo sapevo da tempo immemore, non è che da oggi lo sappia ancora di più.
    Le distanze geografiche sembrano inversamente proporzionale all’età che avanza… siderali nella prima infanzia… da orafo alle prese col manufatto in età matura, diciamo da google maps… La troupe si trasferisce e si moltiplica sullo scacchiere della vita, replicando la piece indefinitamente. Entra in scena uno ne esce un altro, ma il copione, bello solido, varia di nulla… Sullo sfondo si rappresenta, sia esso Via Tasso o il periferico litorale flegreo, ma dopo Shakespeare non è che siamo stati capaci di rinnovarci tanto… cambiano i nomi ma restano i personaggi, come il cantante lirico a Napoli o il neomelodico fulminato a Bacoli… come le patate, ‘chè anche la cucina è un teatro… no?
    "Senti bello... vedi di fare il researcher!"

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    1. Amato researcher, è vero, ogni mondo è paese e questa piccola tessera del mosaico è in fondo interscambiabile con molte altre. Ma Maurizio credo proprio che ci sia solo qui!

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  9. Gran post. Riconcilia con la realtà di via Tasso, gente di provincia come me per cui quella è immaginata come la Napoli snob e perciò meno interessante. Tito

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    1. Ciao Tito, ti ho lasciato al mio terzo post e ti ritrovo qui, più di un anno dopo. È bello sapere che continui a leggermi e che questo post ti sia piaciuto. Grazie.

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  10. Un mondo a parte...
    Un po' la conformazione singolare dell'insula, un po' la stratificazione sociale che ne deriva, mette questo sperone posto tra il Vomero e Chiaia a diretto confronto con la città nel suo insieme!
    Ma aldilà delle singole voci che lo compongono, il coro spesso è un po' stonato, ancora di più dei cantanti che animano il caseggiato.
    I signorotti del piano di sopra, guardano altezzosi un mondo in disfacimento, prima di tutto la bella terra di Ciauriello... o il maltrattamento abituale dei cani, da parte di ragazzotti citati.
    O temono, la presenza incombente di persone dai contorni difficilmente distinguibili, che hanno accesso liberamente in lungo ed in largo, proprio in virtù di un malinteso senso di comproprietà di androni e cortili.
    Ed il disfacimento dei giardini, sorti in un epoca molto diversa da quella attuale, che conferivano un senso di pace e di tranquillità, oltre che di protezione.
    Ma l'insieme forse effettivamente somiglia al palazzo di Parigi dove pure ci piacerebbe di poterci trasferire definitivamente!
    Per il resto condivido alla lettera il racconto puntuale e fedelissimo della nostra amica, anzi, visto che ne occupo anche solo una piccola parte, aggiungo che proprio a colpa di una terribile broncopolmonite, ho molto diradato le mie performances vocali!
    Ma appena sarò in grado, riprenderò i miei studi pucciniani, sperando di non essere ancora una volta "sovrastato dai cani".
    Con grande ammirazione
    Bartlebooth

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    1. Egregio Bartlebooth,
      verrei a ringraziarla di persona per i complimenti, se solo avessi capito dove abita. Ma siccome credo che lei abbia invece capito dove abito io, quando le va passi a suonare alla mia porta. Verrà accolto con grande piacere dal breve abbaiare dei miei due cani amatissimi e da me, melomane con un debole per Puccini. Spero intanto che si riprenda presto, mi manca molto sentirla cantare.

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  11. O soave fanciulla...
    Più di venti anni fa, vivevo la parte più emozionante e "barricadera" della mia già tormentata esperienza universitaria, avevo in quel periodo stretto amicizia con diversi colleghi tutti ampiamente rosi da "passioni" le più smodate, divisi su tutto: dalle teorie del pensiero debole, agli esercizi di stile di Raymond Queneau, dalla riforma universitaria dell'allora ministro Ruberti, alla "hit parade" delle più belle romanze d'Opera.
    Con mia profonda ammirazione, alcuni miei amici e sodali, avevano altrettanta dimestichezza e passione per la lirica, più di quanto io stesso non potessi sospettare...
    Con loro, Fabio, Lucio, Francesca, Stefano, Diego, ho condiviso delle bellissime serate.
    Al riparo dalle discussioni anche più accese, mi tenevo dentro però un terribile segreto...
    In una delle tante feste di Facoltà del 1990, Diego, il più estroverso e disinibito, non so come, riattaccò a parlare di musica classica, di Opera, e lo ricordo benissimo, cominciò a canticchiare La Bohème, nel punto del duetto del primo atto in cui il tenore inizia:
    o soave fanciulla...
    il brano continua con un crescendo irresistibile, al punto che su: "Fremon già nell'anima" proruppi in un la naturale sfolgorante, una nota tra le più belle ch'io abbia mai cantato in tutta la mia vita!
    Diego strabuzzò gli occhi, tutti mi guardarono come un "oggetto" misterioso appena apparso sulla terra.
    Da quel giorno, per almeno quattro anni abbiamo diviso un palco al San Carlo in sette, tutti studenti e squattrinati! Di me resta da qualche parte, una serie di foto che mi ritrae al centro del cortile di Palazzo Gravina, in piedi su una seggiola, che canto circondato da centinaia di ragazzi: Nessun dorma!
    Oggi, convalescente, attaccato ad una flebo, sembro piuttosto Tom Hanks rapito dalla voce della Callas in un terribile film!
    Grazie per l'ospitalità e spero presto di poterla incontrare e svelare l'arcano...
    Bartlebooth

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  12. Cara Benny, come al solito sei riuscita a non farmi staccare gli occhi dal tuo post! Mi sono sbellicata dalle risate a leggere che individui strani hai come vicini e Maurizio mi ha fatto molta tenerezza!!
    Un bacione signorina Bobobó

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    1. La prossima volta che mi vieni a trovare ti faccio fare un bel giro turistico! Adesso nella terra di Ciauriello è fiorita la stella di Natale che qui, proprio come in Africa, sua terra d'origine, è un bell'alberello di due metri d'altezza con i fiori piccoli e carnosi.
      Un bacione a te, tesoro mio

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