Se è vero che sono necessarie sette generazioni per fare una schizofrenica, sono certa che ne servano altrettante per fare una cuoca. Nel mio caso, ahimè, ci fermiamo alla quinta generazione e non c'è modo di barare perché nella mia famiglia si sa precisamente chi fu la prima ad allacciarsi un grembiale in vita e mettersi ai fornelli: la nonna Elena, la mia trisavola.
La nonna Elena era la figlia di Salvatore Fusco - il gentiluomo con i favoriti che vedete nel ritratto - principe del foro che fu prima sindaco di Napoli e poi senatore della Repubblica. Abitava con la famiglia in via Filangieri, a Palazzo Fusco, per l'appunto, ed era una delle ragazze da marito più corteggiate di Napoli.
La nonna Elena era una ragazza bella e simpatica, ma aveva un difetto che mandava il padre su tutte le furie: ai salotti della Napoli bene preferiva di gran lunga le cucine. A quell'epoca - badate, stiamo parlando degli anni intorno al 1880 - in cucina ci stavano cuoche e sguattere, non certo le signorine altolocate, ma la nonna Elena era testarda e mantenne le posizioni.
La passione delle donne della mia famiglia per le cucinelle nasce da lì, dalla caparbietà della nonna Elena. Nella storia familiare rimangono leggendarie le sue gelatine di frutta, le sue palle di tagliolini, la galantina e il sartù di riso, che la nonna Elena imbottiva con la genovese.
Lo stampo del sartù - insieme al mortaio di marmo e alla pesciera, che nella sua carriera di caccavella non vide mai pesce ma sempre e soltanto galantine - è stato tramandato di madre in figlia fino a giungere a me, accompagnato da relativa ricetta e dosi collaudate ad hoc, e io ve ne faccio omaggio perché, ve lo assicuro, questo sartù è un'opera d'arte e in quanto tale va condiviso.
Rimboccatevi le maniche, ché l'impresa è impegnativa.
Sartù di riso ripieno di genovese - dosi per 8 ingordi
Per
la genovese
500
g di polpa di colardella
100
g di pancetta tesa
1
mazzetto per il soffritto (sedano e carota)
1,5
kg di cipolle bionde
100
ml olio
50
gr burro
Sale,
pepe
1
bicchiere di Marsala secco
Per
le polpettine
La
carne della genovese
1
uovo
1
pugno di mollica di pane bagnata e strizzata
1
pugno di parmigiano
Olio di arachidi
Olio di arachidi
Per
il riso
750
g riso Arborio
4
uova intere
100
g burro
100
g parmigiano
Per
il ripieno
250
g fiordilatte tagliato a cubetti (compratelo il giorno prima e
tenetelo in frigo)
250
g pisellini lessati
Per lo stampo
burro
pangrattato
Per lo stampo
burro
pangrattato
Il mio stampo, quello ereditato dalla nonna Elena, è uno stampo scanalato per budino di queste dimensioni: diametro inferiore 18 cm, diametro superiore 26 cm, altezza 8 cm.
Cominciamo
dalla genovese.
Munitevi di una candela, anzi di un paio, sistematele
accese sul piano da lavoro come fosse un altare, e procedete
tagliando le cipolle prima a metà e poi a fettine. Non sarà un
lavoro divertente, ma almeno non piangerete. Tritate poi il sedano
(quello bello verde del mazzetto), la carota e la pancetta. Sistemate
la carne sul fondo di una pentola capiente (meglio sarebbe una
pentola di coccio, ma non sottilizziamo), aggiungere, l’olio e il
burro (meglio sarebbe usare lo strutto, ma non sottilizziamo), la
pancetta, la cipolla, gli odori. Salate e fate cuocere a fiamma
allegrotta, fin quando le cipolle non si saranno ridotte a un quarto (devono diventare una crema, ci vorranno almeno un paio d’ore).
A questo punto armatevi di
pazienza e cominciate a tirare il sugo aggiungendo a poco a poco il
Marsala e aspettando che sia evaporato prima di aggiungerne altro. La
genovese tenderà ad attaccarsi sul fondo, e il vostro compito sarà
“scozzicarla” con un cucchiaio di legno prima che si bruci.
Quando il Marsala sarà finito e le cipolle si saranno ridotte a una
crema di un marrone intenso, la genovese sarà pronta, anche se il
vostro lavoro non sarà ancora giunto a termine. Prendete un caro
vecchio passaverdure e passate la genovese. In questo caso è bene
sottilizzare e usare proprio un passaverdure, perché se è vero che
il minipimer renderebbe l’operazione semplice e rapida, è altrettanto vero che farebbe inglobare alla genovese molta aria, rovinandone il
colore e, secondo me, anche il sapore.
Ora
che la genovese è pronta si può passare alla preparazione delle
polpettine, operazione un po’ noiosa che, nella mia famiglia,
vedeva le donne di casa sedute attorno al tavolo a chiacchierare
mentre la portavano a termine, per rendere il compito un po’ più
gradevole. Per fare le polpettine dovete innanzitutto passare la
polpa di colardella al tritacarne per un paio di volte, oppure al
mixer a intermittenza per una quarantina di secondi. Dopodiché basta
procedere mescolando tutti gli altri ingredienti come si fa per le
normali polpette.
La vera difficoltà, se difficoltà si può
chiamare, è formare le polpettine della stessa dimensione (io
porziono l’impasto usando uno scavino) e fare in modo che l’impasto
non si attacchi alle mani. Per evitarlo, aiuta molto inumidirsele di
tanto in tanto con dell’acqua fredda. Friggete le polpettine in
olio di arachidi fin quando saranno ben dorate. Tenete
conto che, essendo già scurette in partenza, dovranno diventare di
un marrone intenso. Mettetele poi da parte in un nascondiglio sicuro,
è provato che tendono a sparire.
Cuocete
il riso in 2,25 l di acqua salata precedentemente portata a bollore.
Quando l’acqua si sarà asciugata e il riso sarà ben cotto,
mantecatelo con il burro e il parmigiano. Aggiungete poi le quattro
uova sbattute, mescolate bene e rovesciate il riso su un piano di
marmo (non sottilizziamo, va bene anche un’altra superficie
rivestita di carta argentata). Stendete il riso in uno strato
uniforme di circa 1 cm di spessore, e aspettate che sia ben freddo.
Nel
frattempo riscaldate la genovese lasciandovi sobbollire le polpettine
e i piselli, di modo che si insaporiscano, e poi spegnete il fuoco e
lasciate intiepidire.
Imburrate
lo stampo con cura, poi mettetelo dieci minuti nel freezer e ripetete
l’operazione, per poi rivestirlo di pangrattato. A questo punto
bisogna cominciare a tappezzare lo stampo con il riso. Prendetene
delle piccole porzioni fra le mani, cercando di mantenerne lo
spessore, e sistematele dapprima sul fondo, poi sui bordi dello
stampo, stando attenti a farlo aderire bene.
Quando avrete concluso
l’operazione, versate l’imbottitura - alla quale avrete aggiunto il fiordilatte - nel piccolo cratere che si è venuto a
formare, e ricoprite il tutto con il riso avanzato, procedendo come
avete fatto in precedenza, ma facendo attenzione che i bordi siano
ben saldati. Spolverate la superficie del sartù con il pangrattato,
e sistematevi qualche fiocchetto di burro, quindi cuocete in forno
preriscaldato a 180° per 45 minuti.
Quando il sartù sarà cotto,
passate un coltello lungo i bordi della teglia per assicurarvi che il
riso si stacchi bene, poi abbiate la pazienza di aspettare un quarto
d’ora, in modo che il tutto si assesti per bene, e sformate, magari
dando qualche colpetto deciso
sul fondo della teglia. Ultima raccomandazione, pazientate. Il sartù
dà il meglio di sé quando è caldo, ma non bollente.
Generoso! Con la genovese non l'ho mai fatto ma mi sa che domani vi provo! Come potrebbe chiamarsi la colardella per chi non è campano?
RispondiEliminaA occhio e croce direi che si tratta dello scamone. Poi fammi sapere che ne pensi! Un bacio
Eliminache sontuosità!
RispondiEliminaStrepitoso... Ma lo farò quando sarò solo o per portarlo come presente alle cene con gli amici: le mie figlie non capirebbero un chilo e mezzo di cipolle ("Papi, ma... l'hai fatto apposta"). :)
RispondiEliminaGRAZIE!
RispondiEliminaViola
Mio suocero era napoletano doc e di conseguenza pur avendo poi per motivi di lavoro era stato traferito a Trieste dove si è anche sposato, ha insegnato un sacco di piatti alla sua giovanissima sposa. Oviamente la pasta faceva da RE alla sua tavola era capace di mangiare anch 500 g da solo :(.
RispondiEliminaOra siamo solo due fare questa meraviglia per noi sarebbe sprecato il ridurre le porzioni non credo sia facile ed il risultato piangerebbe. Però io mi copio la ricetta magari per un compleanno dei miei maggiolini allora siamo in 5 magari poi si portano qualcosa a casa. Grazie moltissime e buona serata.
Che meraviglia! Lo farò lo farò!
RispondiEliminaBuona domenica.
RispondiEliminaChe meraviglia il sartù di nonna Elena e affascinante la storia che c'è dietro...complimenti!
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