Già qualche anno prima che Gianni Morandi, accogliendo senza alcuna esitazione nella propria roulotte il gufo con gli occhiali, la lepre in tuta rossa, il canarino ferito, il ghiro dormiglione, il topo campagnolo, il picchio col martello e il grillo chiacchierone, mandasse in crisi un'intera generazione di genitori che non avevano intenzione di fare altrettanto, io avevo cominciato ad assillare i miei con un'unica domanda ricorrente: "lo posso tenere?".
In mancanza della varietà offerta da un bosco, mi affezionavo tenacemente a qualsiasi creatura trovassi nella terrazza di mia nonna. Che si trattasse di un onisco, di un piccione moribondo, di una lumachina o di una coccinella, una volta che erano entrati a far parte della mia vita non volevo più separarmene.
Naturalmente mia madre non mi ha mai permesso di tenere con me un verme cicciotto come animale da compagnia, però io non ho desistito e, a testimonianza del fatto che chi la dura la vince, quando cominciai a portare a casa cuccioli di specie un po' più ortodosse, come gatti e cani, era talmente estenuata da non riuscire a opporsi ulteriormente.
La mia infanzia e la mia adolescenza sono quindi state spese in una sorta di zoo domestico dove cani e gatti, a ondate varie, hanno sempre convissuto amenamente e con piacere reciproco e a me, col tempo, è cominciato a sembrare strano che potessero esserci famiglie che non avessero almeno un pesciolino rosso.
Quando io e il consorte ci siamo conosciuti, la situazione in casa era la seguente: il capobranco era Il Ciuli (in origine Pechino poi diventato Micio, poi Miciulino, poi Ciulino e quindi Il Ciuli), splendido persiano rosso che io e mio fratello avevamo regalato ai nostri genitori per il loro venticinquesimo anniversario di matrimonio, che passava dieci mesi all'anno a dormire, mangiare e fare poco altro, per poi scatenarsi nei due mesi di villeggiatura estiva a Roccaraso. Allora, ricordandosi di essere un gatto, pretendeva di uscire la notte a caccia e non si ritirava mai prima dell'alba, entrando con destrezza dal finestrino socchiuso del bagno.
Poi c'era (è c'è ancora) Suerte, recuperata con tutta la cucciolata di notte, nel bel mezzo della carreggiata della statale che passa da Vastogirardi. Rischiammo di investirli tutti, quei cuccioletti, perché erano addossati gli uni agli altri per cercare di farsi calore e formavano un mucchio indistinto, come di stracci vecchi, al centro della strada. Solo all'ultimo momento io mi accorsi che erano cani, e costrinsi papà a schiacciare con forza il pedale del freno.
Di tutta la cucciolata, che fu accolta da famiglie amorevoli e selezionatissime, decisi di tenere con me un maschio che chiamai Fidel salvo poi scoprire, alla prima visita dal veterinario, che non si trattava affatto di un maschio. Fidel si trasformò in Suerte, un po' perché oramai si era inaugurato un filone spagnolo, un po' perché la cagnola era stata davvero fortunata.
Infine, seppure con qualche anno di ritardo, Fidel arrivò davvero. Uno scugnizzo napoletano che si gettò davanti alla mia auto mentre io e le due gravide stavamo andando al corso di critica cinematografica. Fortunatamente Fidel - il cucciolo più bello che io abbia mai visto, da cui la vergognosa filastrocca cantata per farlo divertire "piccolo Fidel, tu sei un cane bel" - era così piccolo da passare indenne sotto l'auto, mentre io invece rischiai l'infarto.
La prima volta che, approfittando di una provvidenziale partenza dei miei, il consorte s'intrattenne piacevolmente con me fino a tarda notte, fu poi costretto a tornarsene a casa senza mutande e senza calzini (ed era dicembre) perché, mentre noi eravamo in altre faccende affaccendati, Fidel li aveva ridotti in coriandoli. Da qualche parte sul polpaccio poi, il poveretto deve avere ancora il segno dei denti di Suerte, che non gradì affatto cedergli il proprio posto sul letto.
Con queste premesse, quando un paio di settimane dopo il consorte mi chiese di andare a vivere con lui, temetti di trovarmi di fronte al più classico degli aut aut: o me o i cani. Lui però - conquistandomi definitivamente - chiarì subito che la mia prole sarebbe venuta con noi. Non si separa una mamma dai suoi pargoli!
Da allora sono passati undici anni e la famiglia si è ulteriormente allargata quando, a marzo del 2002, accogliemmo in casa Pilar, una cockerina tricolore che sembrava uscita dritta dritta da un'illustrazione di Norman Rockwell, e che ci decidemmo a comprare dopo averla vista per quasi una settimana in un negozio che vendeva cibo per animali, chiusa in una gabbietta adatta forse a un coniglietto d'angora, dove non riusciva neanche a stare in piedi.
Con l'arrivo di Pilar, diventata poi il folle amore del consorte, finalmente raggiungemmo l'equilibrio perfetto. Infatti se Suerte - languida e meditabonda, schiava della sindrome abbandonica e poco incline ai giochi - mal aveva tollerato l'arrivo di Fidel - scatenato, incline alla fuga, socievole, giocherellone -, Pilar trovò in lui il compagno ideale. I due scherzavano, si rincorrevano, si contendevano i giocattoli, e finalmente la tristanzuola Suerte veniva lasciata in pace, libera di struggersi in solitudine.
Nonostante i nostri amici con figli, che tanto tempo dedicano a educarli, nutrirli e intrattenerli, spesso si stupiscano di quanta dedizione e quanta pazienza richieda la cura dei nostri tre cani e si domandino chi mai ce l'abbia fatto fare, io - noi - non mi sono mai pentita di averli accolti. Non ho problemi ad ammettere di provare nei confronti degli animali una tenerezza che non ho mai provato nei confronti degli esseri umani.
E poi, volendo buttarla sullo scherzo (ma in fondo neanche tanto), a differenza dei figli i cani non ti danno rispostacce, non vogliono il motorino, non si drogano, non eccedono con l'alcol, non finiscono in brutti giri e, soprattutto, ti amano di un amore incondizionato che mai verrà messo in discussione.
Vi sembra poco?
Nonostante i nostri amici con figli, che tanto tempo dedicano a educarli, nutrirli e intrattenerli, spesso si stupiscano di quanta dedizione e quanta pazienza richieda la cura dei nostri tre cani e si domandino chi mai ce l'abbia fatto fare, io - noi - non mi sono mai pentita di averli accolti. Non ho problemi ad ammettere di provare nei confronti degli animali una tenerezza che non ho mai provato nei confronti degli esseri umani.
E poi, volendo buttarla sullo scherzo (ma in fondo neanche tanto), a differenza dei figli i cani non ti danno rispostacce, non vogliono il motorino, non si drogano, non eccedono con l'alcol, non finiscono in brutti giri e, soprattutto, ti amano di un amore incondizionato che mai verrà messo in discussione.
Vi sembra poco?
SPAGHETTI WITH MEATBALLS
(per due persone a da mangiare rigorosamente nello stesso piatto)
200 g di manzo macinato
2 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 uovo
1 pugnetto di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata
140 g di concentrato di pomodoro
160 g di spaghetti
un bel po' di basilico (e guai a chi parla di stagionalità, ho la piantina viva e vegeta sul davanzale!)
sale, pepe, una zolletta di zucchero, olio EVO
Lo so, avete ragione, questa è una ricetta raccapricciante per chiunque abbia un po' d'amore per la cucina italiana. Se ripenso alle scenate che, in Big Night, Primo fa ai clienti del suo ristorante italiano ogni volta che gli chiedono questo piatto, quasi mi vergogno di averlo preparato.
A mia discolpa, posso dire di non aver mai neanche letto la ricetta degli spaghetti with meatballs e di essermi invece limitata ad assecondare i desideri del consorte che, ogni volta che preparo le polpette cotte nel sugo, sostiene che la salsa sia talmente deliziosa da essere sprecata per azzupparci semplicemente il pane e che sarebbe meraviglioso condirci la pasta.
Inoltre in questo post si parla di cani, e non è molto più romantico pensarli intenti a mangiare un bel piatto di spaghetti come in Lilli e il Vagabondo (soprattuto considerando che Pilar e Fidel li ricordano un bel po') piuttosto che proporre l'ennesima ricetta di biscotti per cani?
Bene, ora che mi sento assolta, procediamo! Sistemate in una ciotola la carne, la mollica di pane, il parmigiano e l'uovo. Condite con sale e pepe, aggiungete le foglie di basilico spezzettate e impastate per bene e a lungo, fin quando tutti gli ingredienti saranno amalgamati.
Formate quindi delle polpette della grandezza di una pallina da golf (se non giocate a golf andatevene per un'idea, come d'altronde faccio io), e rosolatele in un tegame capiente con due o tre cucchiai d'olio.
Quando saranno ben dorate, spostatele in un piatto e versate nel tegame il concentrato di pomodoro che stempererete con abbondante acqua calda (almeno mezzo litro). Aggiungete qualche foglia di basilico, un po' di sale, una zolletta di zucchero e immergetevi le polpette.
Fate cuocere a fuoco bassissimo e a lungo. La salsa deve peppiare - cioè brontolare, sobollire appena - fin quando non si sarà ridotta della metà.
A questo punto lessate gli spaghetti, mantecateli bene con la salsa, aggiungete un paio di polpette a persona, condite con un po' di parmigiano grattugiato e servite.
Gustateli a lume di candela e se volete qualcuno che vi canti "Dolce sognar"... beh, fatemi uno squillo!