Le vacanze estive in casa Gastronomica sono merce rara. I motivi sono vari: le mie sospensioni del contratto di lavoro ondivaghe che spesso mi vedono intenta a sceneggiare sotto il solleone, la difficoltà di trovare compagni di viaggio dato che la maggior parte dei nostri amici - saggiamente - va in vacanza a luglio, l'arduo compito di trovare qualcuno di affidabilissimo a cui lasciare in custodia i cani e, non ultimo, l'impossibilità di scegliere una meta che renda felice sia me che il consorte.
Quest'anno, quando abbiamo assodato che la mia unica settimana libera sarebbe stata quella di ferragosto e che no, era impensabile che la trascorressimo a Napoli, è drammaticamente partito il toto-destinazione. Il consorte voleva andare al mare e io invece no. Allora ha proposto Berlino, ma per me è impensabile visitare una grande città in piena estate, quando ad affollarne le strade ci sono solo turisti. Così ho proposto la montagna, ma lui era certissimo che si sarebbe annoiato a morte. Voleva qualcosa di più dinamico, di più vario... E allora ti becchi la Provenza - ho pensato fra me e me, certa di aver finalmente trovato la nostra meta.
Convincerlo non è stato difficile, non dimentichiamo che il consorte è per metà francese e il richiamo della madre patria ha subito fatto presa. Inoltre, diciamolo, la Provenza è una di quelle mete del cuore, uno di quei posti in cui si desidera andare fin da quando se ne ha memoria. Un posto romantico, magico, perennemente profumato di lavanda, dove tutto è un po' fané, délabré, delavé, ma con tanto tanto charme. O almeno così pensavo...
O donne che avete plasmato la vostra idea dell'amore guardando French kiss e Un'ottima annata, che avete sospirato alla vista di mobili decapati e bacili di zinco pensando che intorno a quelli avreste voluto costruire la vostra casa, che vi illanguidite alla vista di una pianta di lavanda e vi siete cimentate nella preparazione di qualsiasi tipo di tapenade nell'attesa di poterne assaggiare una artigianale fatta in loco, ho una tremenda notizia da darvi: la Provenza non esiste.
Probabilmente sto svelando un segreto di quelli che tutti conoscono anche se nessuno lo ammette, perché mi rifiuto di credere che sia stata la prima e sola ad accorgersi che la Provenza è un bluff. Per carità, in effetti c'è tutto quello che uno si immagina, ma in dosi omeopatiche, come fosse un'interpunzione che ti sorprende di colpo in mezzo a tante brutture.
Innanzitutto la Provenza è turistica, ma turistica in senso brutto, dozzinale. Abbondano i bistrot pacchiani con le sedie di plastica e gli ombrelloni sgargianti, che spacciano croque monsieur di infima fattura e coca cola come se piovesse, i negozi di souvenir con l'immancabile sapone, gli immancabili mazzolini di lavanda, le immancabili herbes de Provence, e ancora statuine, calamite, fermacarte a forma di cicala o portachiavi con la cicala che frinisce, in modo che, acquistandoli, si possa godere del caratteristico tappeto sonoro provenzale anche una volta tornati a casa.
Di contro, molto di quello che non è pacchiano sembra essere finto. Paesini che paiono lavati col sapone (ovviamente di Marsiglia) ogni mattina, case con gli infissi stinti al punto giusto, cioccolaterie da cui ti aspetti di veder spuntare Vianne (ma lo sanno che Chocolat è stato girato in Borgogna?), vecchietti che sembrano aver vinto il concorso per la migliore interpretazione del tipico vecchietto provenzale e se ne stanno seduti al caffè della piazza - questa volta con tavolini e sedie in ferro battuto - a bere pastis come tradizione vuole.
Guardandoli con un occhio smaliziato, ti accorgi poi che in questi paesi c'è sempre una boutique chic che vende abiti di Ter et Bantine e Valentino, ballerine Repetto e bijoux di Chanel, una gourmandise che spaccia paté, tapenade, miele, spezie, petit beurre e pain d'épice in confezioni talmente deliziose da dare la nausea e un negozio di accessori per la casa dove abbondano le tovaglie di lino in colori polverosi, i bicchieri fatti a stampo, le alzatine, i cestini in fil di ferro e i piatti dall'aspetto demodé che, diciamolo pure, sono gli stessi che ormai si trovano tranquillamente anche in Italia in un qualsiasi negozio Comptoir de Famille.
Certo, la Provenza ha paesaggi bellissimi e percorrendo la Route de Jean Moulin, la Route d'Orgon, Les Alpilles, Le Parc Naturel Régional de Camargue, le Gorges du Loup, o la Route des Crêtes, più volte ci siamo fermati ad ammirarli... ma inevitabilmente i nostri commenti erano "Che bello, sembra la Toscana!", "Incredibile, sembra d'essere in costiera!"
Insomma, bisogna andare in Provenza armati di una bella lente d'ingrandimento e cercare il particolare provando a dimenticare il contesto. Perciò evitate di andarci in alta stagione e forse troverete meno signori panciuti con bermuda e sandali indossati sopra i calzini che vagano bevendo birra.
Evitate poi di scegliere mete smaccatamente turistiche - assolutamente bandite Avignone (una delle città più brutte e fatiscenti che io abbia mai visto), Fontaine de Vaucluse (all'origine forse anche carina, ma il turismo sportivo l'ha trasformata nel trionfo del baretto becero), Les Baux de Provence (un paesino fantasma ormai popolato solo da turisti e impregnato del fetore di patate fritte e cibo da asporto nelle cui stradine bisogna camminare in fila indiana. Mi ha fatto lo stesso effetto devastante che all'epoca mi fece Mont-Saint-Michel), Arles (folla ovunque, negozi pacchiani e, se permettete, gli anfiteatri romani ce li abbiamo anche a casa), Saintes-Maries-de-la-Mer (un avvilente incrocio fra Mondragone e Ischia Porto durante la festa di Sant'Anna), Salon de Provence (chinatown in piena Provenza), Saint-Paul-de-Vence (la succursale chic di via Montenapoleone, con tanto di milanesi sboroni), Grasse (una cittadona devastata dalla speculazione edilizia).
E adesso, dopo averne parlato tanto male, ecco un elenco delle cose che mi hanno colpito al cuore e che - se mai dopo questo post ancora vi pungesse vaghezza di farlo - non dovete assolutamente tralasciare se andate in Provenza.
Innanzitutto i posti dove abbiamo soggiornato:
UnE VuE SuR CouR a Lagnes, minuscolo paesino a una manciata di chilometri da L'Isle Sur La Sorgue. Si tratta di uno chambre d'hotes, praticamente un bed&breakfast, gestito da Marie-Nöelle Begat che ha, nel cortile dove affacciano le due stanze riservate agli ospiti, il suo delizioso atelier di pittura (volendo si possono anche seguire dei corsi).
Le stanze sono state arredate dalla stessa Marie-Nöelle con mobili di recupero, trasformati in pezzi unici con estro e incredibile buongusto mentre alle pareti ci sono molte opere della padrona di casa. La colazione, casalinga ma ricca e golosa, è servita in terrazza, all'ombra del gazebo, e ogni giorno c'è una mise en place diversa.
Marie-Nöelle è una donna creativa, forte, allegra, generosa, piena di vita e di risorse, con la quale è piacevole trattenersi a chiacchierare di qualsiasi cosa, perché ha mille interessi e mille argomenti. È solo grazie alle dritte che ci hanno dato lei e suo marito Michel se al nostro viaggio sono state aggiunte alcune delle tappe più significative.
all'ingresso, subito dopo il cancello...
Tosca che, come dice Marie-Nöelle, è la padrona di Michel
l'antico lavatoio in pietra nell'atelier di Marie-Nöelle
Scott, il gatto di casa. Sicuramente il micio più socievole che io abbia mai conosciuto
un'aiuola in cortile
la finestra sulle scale
vista dalla terrazza su cui si fa colazione
il mobile con le rondini che domina la terrazza
Il secondo posto in cui abbiamo dormito è talmente bello da non sembrare vero. Si tratta del
Mas dou Pastre, che si trova sulla Route de Jean Moulin, esattamente a un chilometro da Eygalières. Questa antica casa di campagna è collocata al centro di un uliveto e un immenso platano fa ombra alla sua facciata. La cura del grande parco e degli ambienti è quasi maniacale, non c'è nulla che sia lasciato al caso e tuttavia tutto è piacevolmente familiare e rilassante.
Le stanze, piccole costruzioni in pietra annesse all'edificio principale (ma volendo si può anche scegliere di dormire in una roulotte gitana rimodernata), sono arredate con vecchi mobili dall'aria vissuta, letti in ferro battuto e i bagni, con le grandi vasche in ferro smaltato e i ripiani per i lavandini rivestiti di zinco, sono talmente belli che a volte sono lasciati a vista.
Ma la cosa davvero impagabile di Le Mas dou Pastre è il parco. Ci sono piccoli angoli attrezzati a salotto sparsi un po' ovunque, un orto così curato da essere commovente, e oggetti di brocantage lasciati in giro come se fossero stati sempre lì, come se avessero cominciato ad usarli negli anni '30 e non avessero poi mai smesso di farlo. E poi, un po' in disparte in un recinto e lontana dalla vista, c'è la piscina, piccola e discreta ma impagabile.
Non si può dire che sia un posto economico e certo non c'è la stessa accoglienza familiare che abbiamo trovato altrove, ma vale la pena rompere il salvadanaio pur di dormirci almeno una notte.
i tavoli per la colazione sistemati sotto il grande platano
trastulli d'antan per i bambini
la nostra stanza
sedie fra gli ulivi
l'orto
l'angolo gipsy
i carrellini per trasportare i bagagli
Il terzo e ultimo posto è la
Bastide Valmasque a Biot. Confesso immediatamente che in questo caso potrei essere di parte perché la Bastide appartiene a Claudia e Philippe, che conosco da una vita (Claudia è la sorella del mio testimone di nozze), ma sfido chiunqe a non innamorarsi di questo posto incantato.
La Bastide, che in omaggio a Napoli e a Claudia è di un bel rosso pompeiano, è immersa nel verde e nel silenzio di un curatissimo giardino e racconta, a partire dagli arredi per finire al tè speziato servito la mattina per colazione, la storia di queste due meravigliose persone che hanno vissuto per molti anni - e in parte ancora lo fanno - fra l'Italia, la Francia e l'India.
Alla Bastide si respira un'aria cosmopolita, impregnata di un'eleganza rilassata. Viene voglia di togliersi le scarpe e mettersi comodi, tanto ci si sente a casa propria! L'accoglienza è calda e generosa, Claudia e Philippe si prodigano per fornire ai loro ospiti indicazioni sui posti da visitare, sui ristoranti, sui mercati, sulle spiagge dove fare il bagno e corredano il tutto con piantine home made per far sì che nessuno abbia difficoltà a orientarsi.
Non è raro che si improvvisi un aperitivo sulla bella terrazza o addirittura una cena, con gli ospiti chiamati a cucinare le loro specialità da condividere poi nello spazio esterno dedicato alla prima colazione. Insomma, alla Bastide è facile dimenticarsi che ci si trova in un bed&breakfast tanto ci si sente fra amici a casa di amici.
E se vi innamorate perdutamente di una qualsiasi delle cose che sono in casa, non c'è alcun problema: alla Bastide qualunque cosa è in vendita... e lo sa bene il consorte che è tornato a Napoli vittorioso con il tritaghiaccio anni '70 che aveva sempre desiderato!
relax in giardino sui lettini indiani
l'angolo del bancone dove c'è tutto il necessario per prepararsi il tè a qualunque ora
Shouka, la cagnolina di Claudia
l'angolo per la colazione sul retro della bastide
una delle mensole in cucina
andando verso il giardino
Ora che sapete dove dormire vi dico dove mangiare e cosa vedere, ma lo faccio rapidamente perché credo di avervi tediato anche troppo (volevo farmi perdonare per i due mesi e passa di assenza).
Vale la pena di andare a cena al
Mas Tourteron a Les Imberts, ai piedi di Gordes. Un giardino incantato e cibi deliziosi, anche se il servizio lascia un po' a desiderare.
Gradevolissimo anche
L'Oustau de l'Isle, a L'Isle sur la Sorgue. D'estate si cena nel patio, dove i tavoli di ferro battuto hanno forme e colori diversi e le porte sono sormontate da mensole zeppe di vecchi fiaschi e bottiglioni enormi. Ma preferite il piatto di formaggi ai dolci, che sono il punto debole del menu.
L'Auberge de Lagnes, a un passo da casa di Marie-Nöelle, è il posto dove in assoluto abbiamo mangiato meglio. Non ci hanno portato nulla che fosse meno che eccellente, dalle entrée ai dessert, e tutto era impiattato con garbo, ma senza la ricerca spasmodica della decorazione. I dolci poi erano commoventi, e scrivendo ancora mi torna in mente il gusto meraviglioso della loro tarte au citron. D'estate si cena per strada, in una piazzetta alberata riparata da una serie di tende sistemate ad altezze diverse, ma sia i tavoli che le sedie sono di plastica e quindi un po' deludenti.
A Eygalières, fermatevi da
Sous les Micocoulieres. Pane e tapenade eccellenti, cucina creativa ma intelligente e non solo modaiola. Si pranza in giardino, sotto gli alberi, guardando i molti gatti che si crogiolano al sole. La piccola madeleine servita con il caffè è indimenticabile.
Ancora, alla bouvette della
Fondation Maeght, a Saint Paul - un museo meraviglioso, una tappa assolutamente da non perdere - una strepitosa pissaladière, una terrina di verdure con una salsa al dragoncello che richiedeva un applauso e un taboulé con gli scampi deliziosamente fresco e aromatico.
Se capitate a Biot prima che venga l'autunno, andate al
Museo Fernand Léger e, prima o dopo la visita, fermatevi a mangiare a La Bouvette du Jardin. È l'ultima occasione che avete per farlo, perché dall'anno prossimo la Bouvette verrà smontata. Si tratta di un chioschetto all'aperto, gestito da Michèle Parnel e sua figlia. In questo luogo incantevole potrete mangiare un'insalata, o una fetta di quiche e delle tarte da standing ovation. La Bouvette du Jardin è la dimostrazione di come il buongusto, la creatività e la perizia possano rendere indimenticabile anche un chioschetto.
Da non perdere: il mercato dell'antiquariato a L'Isle sur la Sorgue. Il paese non è un granché, ma il mercato è da colpo di fulmine. Ad averceli avuti, avrei speso migliaia e migliaia di euro in trouvaille di cucina, mobilio industriale, sifoni, ceste, tavolini in ferro battuto e vecchie insegne luminose.
La
Carrières de Lumières nella cava abbandonata ai piedi di Les Baux de Provence. Sulle immense pareti della cava vengono proiettati quadri di pittori famosi (quando ci siamo andati noi Van Gogh e Gaugain) che sfumano l'uno nell'altro e si animano dando vita a uno spettacolo da pelle d'oca (in parte dovuto anche alla temperatura polare della cava).
Saint Remy de Provence è un paesone e solo il centro storico è veramente gradevole, ma vale la pena andarci per fermarsi a pranzo al Mas de la Pyramide. Non l'ho inserito fra i ristoranti perché la cucina, che pure è sincera, non è certo uno dei punti di forza di questo luogo.
Si tratta di una cava che da otto generazioni o giù di lì appartiene alla stessa famiglia. Per secoli i Mauron hanno scavato finendo per costruire nella roccia perfino la loro casa. Al Mas de la Pyramide ormai non si scava più ma Lolo, l'ottantottene ultimo esponente della famiglia che, essendo scapolo e senza figli, ha deciso che alla propria morte donerà il Mas al comune di Saint Remy, coltiva la terra, alleva i polli e cucina per chiunque - alla modica cifra di 25€ per un pasto completo - voglia fermarsi da lui. La famiglia Mauron non ha mai gettato via nulla e così, in una parte della cava, si può visitare una sorta di museo degli attrezzi agricoli, a partire dai vomeri per gli aratri per finire ai trattori.
la cucina della casa di Lolo
la cucina all'aperto
il pane secco preparato per i polli
tutti a tavola sotto la roccia
la fantastica Riste di Lolo
lusso fra i vecchi aratri
Il
Museo Picasso e il Marché Provençal ad Antibes. Picasso è Picasso e non c'è da discutere, ma lo Château Grimaldi, dove il museo è collocato, è talmente bello che varrebbe una visita anche se non ci fossero quei magnifici quadri e quelle fantastiche ceramiche.
Vi avverto, il Marché Provençal di Antibes ha prezzi alla stregua di una gioielleria quindi pensateci bene prima di fare un acquisto, però passeggiare fra i suoi banchi ammirando le merci è un immenso piacere.
Ed è gratis.
Se dovessi scegliere un unico posto dove tornare opterei senza ombra di dubbio per Eygalières. Questo minuscolo paese ai piedi delle Alpilles, una delle zone più belle della Provenza, è discreto ed elegante e non vi è turismo di passaggio.
Tutto è curato, ma allo stesso tempo tutto è vero. Ci sono una boulangerie, una boucherie e una épicerie incantevoli, che però sono negozi di paese e non trappole per turisti. I ristoranti sono gradevoli e accoglienti e non c'è nulla di più piacevole che passare il tardo pomeriggio seduti al Cafè de la Place a prendere l'aperitivo, guardando le persone che passeggiano sul corso.
Ti accorgi che Eygalières è meta di un turismo ricco e stanziale solo quando vedi le auto parcheggiate - tutte d'epoca e in prevalenza Jaguar - o quando t'imbatti in John Malkovich, che lì ha casa. Impigrirvi a Eygalières per qualche giorno è il regalo più bello che possiate farvi.
Infine fate un giro a Gordes, Ménerbes, Tourette sur Loup, Mougins (un po' finto ma delizioso) e soprattutto andate a Digue à la Mer, punta estrema della Camargue, con una bella colazione al sacco, e perdetevi fra i sentierini sabbiosi ad ammirare i fenicotteri.
il castello di Gordes al tramonto
Ménerbes, giunti in cima
In cerca d'ombra a Tourette sur Loup
La cisterna dei pompieri al centro di Mougins
Digue à la Mer
i fenicotteri
Concludo arricchendo l'aneddotica della Gastronomica con un altro episodio imbarazzante. Ancora una volta - come già successo all'aeroporto di Londra a causa di 5 chilo di rabarbaro e 6 di posate d'argento comprate al mercato di Berdmonsy - ci siamo trovati a dover disfare le valigie al check-in per ridistribuire i pesi in modo che entrambi i bagagli venissero accettati.
La cosa comica è stata che solo in quel momento io e il consorte abbiamo scoperto che c'erano tutta una serie di simpatici souvenir che l'uno aveva comprato senza dirlo all'altro per paura di essere rimbrottato. Così se io me ne andavo in giro con mezzo chilo di grasso d'oca, svariati paté (ma non di foie gras), e un'intera fromagerie stipata in valigia, per contro lui aveva arricchito il suo bagaglio con sei bicchieri da pastis, una bottiglia di pastis 51, un tritaghiaccio e una mannaia dell'ottocento che io facevo fatica a sollevare.
Nonostante io abbia fatto sfoggio della mia storica abilità nel fare i bagagli (sono la reginetta dell'
hoketi poketi), non c'è stato nulla da fare, abbiamo dovuto pagare ben 55 euro di sovraprezzo bagagli. La colpa, a dire del consorte, era da imputare ai 3 chili di irrinunciabili prugne mirabelle che avevo comprato a Biot (chissà mai perché non alla sua mannaia) che di colpo si sono trasformate nelle prugne più care della storia.
Una simile merce preziosa non poteva certo andare sprecata perciò, seguendo fedelmente la ricetta di Christine Ferber, con una parte ho fatto una confettura con limoni e miele di tiglio e con le restanti una torta che, tagliata a fette e messa in surgelatore, allieterà le colazioni del consorte per un paio di mesi, facendogli ricordare il ridicolo epilogo del nostro viaggio.
TORTA CON MIRABELLE E PINOLI
Per una teglia di 22 cm di diametro
350 g di farina 0
200 g di zucchero
50 g di zucchero di canna
150 g di burro
4 uova categoria A
1 bustina di lievito
1 pizzico di sale
250 g di prugne mirabelle
1 pugnetto di pinoli
Innanzitutto tirate il burro fuori dal frigo e, se andate di fretta, mettetelo al sole per farlo ammorbidire. Nel frattempo lavate le prugne, asciugatele, tagliatele a metà e privatele dei noccioli. In una ciotola lavorate poi il burro ammorbidito con lo zucchero bianco (andate senza timori di frusta elettrica) fin quando il composto non diventerà chiaro e spumoso. Incorporate quindi a questa sorta di crema i tuorli (per carità, tenete da parte gli albumi ché serviranno dopo) uno ad uno avendo cura di non aggiungerne un altro se il precedente non si sarà amalgamato. A questo punto unite anche la farina - già setacciata con il lievito - poco alla volta fino a inglobarla tutta. Quindi è il turno degli albumi montati a neve con un pizzico di sale che, come dice Laura Ravaioli, è più scaramantico che altro, ma si sa, io sono napoletana. Unite poi gli albumi al composto avendo cura di mescolare dal basso verso l'alto e versatelo nella teglia che avrete rivestito con della carta forno bagnata e strizzata affinché aderisca bene ai bordi. Decorate la superficie della torta con le prugne, i pinoli e lo zucchero di canna, e cuocete in forno preriscaldato a 180° per una quarantina di minuti!
Et voila!