È un periodaccio. Io e il consorte siamo stracchi per i troppi impegni, il troppo lavoro, le mille incombenze, i troppi cani da accudire, le troppe cose a cui pensare e la consapevolezza, subliminale ma comunque presente, che fra un mese sarà Natale, anche se noi ci ostiniamo a far finta di niente.
In genere un paio d'ore dopo, diciamo alle 23 circa, il primo di noi a cui, vista la posizione infelice, viene un crampo, si sveglia e sveglia l'altro. Così, intontiti, infreddoliti e doloranti, ci trasciniamo a letto desiderando dormire per le successive 72 ore, ma drammaticamente consci che alle 6 meno un quarto suonerà la sveglia.
Per la verità le sveglie sono cinque: la mia, quella del consorte, quella del mio cellulare, quella del cellulare del consorte e quella del cronografo del consorte - fastidiosissima - sistemato per sicurezza in soggiorno, in modo che per spegnerla ci si debba necessariamente alzare. Questo perché noi non dormiamo, sveniamo. In questo periodo, di norma finiamo in una specie di delirio narcolettico da cui riemergiamo con fatica estrema. Ma l'altra notte non è andata così.
Mi sveglio all'improvviso, con la sensazione che il consorte non sia al mio fianco, infatti apro gli occhi e vedo che il letto è vuoto. Stranita, mi volto e individuo mio marito vicino alla finestra; ha scostato la tenda e guarda fuori attraverso le persiane. Do una sbirciata alla sveglia e realizzo che sono le quattro meno un quarto quindi, sempre più perplessa, gli chiedo cosa faccia lì in piedi e lui, bisbigliando, mi spiega di essere stato svegliato da un rumore sospetto, poi - serafico - mi comunica che un ladro sta cercando di rubarci la vespa, parcheggiata proprio davanti casa.
A dispetto della pacatezza del consorte, io reagisco subito con il mio solito piglio energico e, scansato di scatto il piumone, mi alzo intimandogli di seguirmi e aiutarmi a catturare il ladro. Il consorte esita giusto un attimo, poi entrambi ci fiondiamo alla porta e usciamo così equipaggiati: il consorte in pigiama di flanella scozzese, birkenstock e piumino d'oca; io - in camicia da notte di flanella grigia (tristissima), pantofoline di spugna turchese e batticarne preso al volo in cucina nel caso ci fosse bisogno di difendersi - incarno la versione contemporanea di Ave Ninchi in
Domenica d'agosto.
Per arrivare in strada impieghiamo giusto un minuto, visto che abitiamo al piano terra, ma il ladro già non c'è più. Però c'è la vespa, riversa esanime al centro della carreggiata. Rimaniamo immobili e silenziosi a scrutare la via deserta e fiutare l'aria come cani da caccia, poi a un tratto il consorte indica un'auto parcheggiata dall'altro lato della strada, a una ventina di metri da noi e mi dice semplicemente: "là". Io cerco di mettere a fuoco, ma non ci riesco visto che per la fretta non ho indossato gli occhiali. Così mi fido dell'occhio di falco del consorte e, a scatola chiusa, comincio a urlare: "Fetente! Ma che volevi fare? Ci stavi fregando la vespa?".
Insomma, faccio un tentativo alla cieca (proprio in senso letterale) ma faccio centro. Da dietro la macchina emerge un ragazzo di cui, vista la mia cecataggine, intuisco solo un paio di pantaloni bianchi, i capelli neri e... una bicicletta! Con notevole presenza di spirito, il mariuolo rivolta la frittata e cerca di convincerci di essere INCIAMPATO nella nostra vespa, lasciata incautamente al centro della strada, di essere di conseguenza caduto dalla bicicletta e di avere pertanto bisogno del nostro aiuto.
Io, fuori di me, gli rispondo con un signorilissimo: "Ma che fai, ci prendi per il culo?", mentre il consorte, più padrone di sé, mi dice di rientrare in casa e chiamare la polizia. Il ladro ci supplica di non farlo e ci esorta piuttosto a riportarlo a casa. Ce l'avremo una macchina per dargli un passaggio, no?
Il consorte comincia a perdere la pazienza, mi dice di nuovo di chiamare la polizia, e intanto si dirige verso il ragazzo che, si capisce benissimo, è sul punto di fuggire. Io, presa dalla foga, non gli do ascolto e punto a mia volta verso il ragazzo ma, vittima della mia cecità e delle mie pantofoline di spugna, inciampo in un fosso e mi azzoppo irrimediabilmente. Il consorte si distrae per guardare me, e il ladro approfitta del nostro momento di defaillance per montare sulla bici e fuggire (in salita!).
A me e al consorte non resta che occuparci della povera vespa, che ci accingiamo a sollevare e a parcheggiare al sicuro, quando il consorte scopre che il fetentissimo ladro mitomane e affabulatore, fra una chiacchiera e l'altra ci ha spaccato la canna dello sterzo. Pazzo di rabbia, vorrebbe riacciuffare il ragazzo in bicicletta inseguendolo lungo la strada, e mi chiede di aiutarlo ad accendere la vespa. Io che, nonostante la camicia da notte triste, le pantofoline di spugna, il batticarne e il piede zoppo, mantengo miracolosamente una certa autorevolezza, lo convinco a desistere facendogli presente che, beh, sarebbe difficile riuscire a fare anche solo un metro con la vespa, visto che ormai è strabica, con lo sterzo che guarda a sinistra e la ruota che se ne sta a destra.
Decidiamo perciò che ormai è andata com'è andata, e riprendiamo a trascinare la vespa verso il marciapiede quando - nel deserto delle quattro del mattino - si ferma davanti a noi una volante della polizia. Il poliziotto alla guida apre il finestrino e, brusco e minaccioso, ci chiede cosa diavolo stessimo facendo con quella vespa. Per caso stiamo cercando di RUBARLA?
Ora io vi garantisco, dall'alto dei miei 130 chili, che se avessi intenzione di compiere un furto notturno sceglierei come minimo un abbigliamento più consono. Non dico che opterei per una tutina nera aderente in stile Eva Kant che, ovviamente, non mi posso permettere, ma di sicuro troverei qualcosa di meglio di una camicia da notte di flanella grigia (ribadisco: tristissima) e un paio di pantofoline di spugna turchese. Illustro il ragionamento al poliziotto e nel farlo, lo ammetto, gesticolo giusto un po', ma evidentemente quanto basta perché il poliziotto si accorga del batticarne (in legno) e mi accusi di essere ARMATA.
A questo punto interviene il consorte che, cercando di essere succinto e convincente, fa un riassunto delle puntate precedenti, ovvero comincia a raccontare quello che è successo da quando è stato svegliato da un improvviso rumore metallico. I poliziotti ascoltano, ma io sono sulle spine perché sentendo ripercorrere tutti quei micro avvenimenti l'uno in fila all'altro, comincio a rendermi conto di quanto siano surreali e poco credibili. Il ragazzo nascosto dietro l'auto che poi riemerge con una bici, ci accusa di avergli provocato danni fisici, ci chiede di accompagnarlo a casa e poi, mentre siamo distratti fugge in salita. Ma chi se la beve questa storia?
I poliziotti invece sembrano persuasi che sia andata proprio così e ci dicono di non preoccuparci, si lanceranno subito all'inseguimento del malvivente, noi possiamo tranquillamente tornare a casa e rimetterci a dormire. Ancora frastornati, eseguiamo profondendoci in mille ringraziamenti e compiacendoci del fatto che l'arrivo della polizia, in fondo, sia stato un vero colpo di fortuna.
È solo quando siamo di nuovo a letto e stiamo cercando di riprendere sonno che qualcosa comincia a non tornarmi. Come fanno i poliziotti a lanciarsi all'inseguimento del ladro senza una denuncia e, soprattutto, come fanno a tenerci informati se non sanno chi siamo, dove abitiamo, da dove veniamo e dove andiamo? Sottopongo il quesito al consorte sostenendo che i due ci abbiano bellamente preso per i fondelli, ma per lui quella storia è durata anche troppo, e la sua unica risposta è la seguente: "Bene, ja', statti zitta e vedi di dormire, che fra un'ora suona la sveglia!"
GLI SPAGHETTI DELLA DISPERAZIONE
Per due persone
160 g di spaghetti
1 cipolla di tropea
1 vasetto di tonno sott'olio
1 vasetto di acciughe sott'olio
1 fetta di pane raffermo
olive nere, capperi, peperoncino, sale, olio EVO
Ve l'ho detto, in questo periodo cucino tanto, ma quasi nulla di quello che preparo è mangiabile per cena (a giorni ne scoprirete il motivo) e le mie spese al supermercato, pur frequenti, sono sempre mirate. Per questo motivo, ultimamente nella dispensa ci sono le cose più assurde ma manca invece l'essenziale. Questi spaghetti sono della disperazione proprio per questo motivo: il consorte non ne poteva più di pizza da asporto e io cercavo
disperatamente qualcosa da preparargli (che non fosse il solito aglio e olio, che peraltro detestiamo entrambi) con quello che c'era in casa.
Il trucco di questa pasta, la sua ineguagliabile bontà, sta tutto nel pane, ed è proprio da lì che si comincia. Tagliate il pane a tocchetti e tritatelo nel mixer con un po' d'olio. Ne otterrete un pan grattato grossolano ma omogeneamente intriso d'olio. Scaldate una padella capiente, e rosolateci il pane che - essendo condito in modo uniforme - diventerà bello dorato e non saprà di pane abbrustolito bensì di pane fritto, ma senza essere unto. Levatelo dalla padella e tenetelo da parte, intanto - mentre mettete a bollire l'acqua per gli spaghetti e calate la pasta- tagliate a julienne la cipolla di Tropea e, usando la stessa padella di prima, fatela appassire in due o tre cucchiai d'olio con un pezzetto di peperoncino. Aggiungete le acciughe, che dovranno disciogliersi, il tonno (il mio era artigianale, comprato a Stromboli), le olive e i capperi. Fate andare per cinque o sei minuti. Quando la pasta sarà cotta, mantecatela direttamente nella padella, tenendo a portata di mano un paio di cucchiai di acqua di cottura nel caso diventasse troppo asciutta. Impiattate condendo a profusione con il pane dorato e compiacetevi di quanto si possa mangiar bene anche quando il frigo è vuoto.
